Sono cresciuta in un posto

pieno di rosmarino ed elicrisio.

 

[…] Cespugli intrecciati e fitti ci legano alla terra,

e sta a te decidere se reciderli o farti inghiottire

per sprofondare verso le sue viscere.

 

2

______

 

Estratto dalla Biografia di Pasqaulina Cossu.

 

 

Nel dormiveglia sentii le voci delle mie sorelle.

- Come sta?, chiese Santina.

- Dorme!, rispose Giuseppina.

- Ancora?

- Ancora.

- È tutto buio, io apro le finestre e la sveglio.

- Non ci provare nemmeno.

- La portiamo a dormire nel nuraghe.

- E questa idea da dove salta fuori?

- Ieri, in classe, abbiamo letto una leggenda che parlava dello sciamanesimo in Sardegna. È l’incubazione, si guarisce dai mali dormendo nel nuraghe.

- Va' via. Vai in cucina. Ci penso io a Pasqualina.

Quelle vespe velenose, invece di stare zitte. La testa mi esplode. Chi c'è?

Giuseppina? Che ci fai qui Giuseppina? Vattene via. Esci. Non vedi come sto? Sei diventata sorda? Lo fai apposta, lo fai. Se non te ne vai giuro su mamma che te la faccio pagare. Tornatene a Sassari. Vattene! Pure Santina ora, e chi viene? Il dottore? Che fa? Non mi toccare. Fermo! Non ho niente. Sto bene. Fermo! Fermi tutti!

- Ha perso conoscenza?, chiese il dottore a mamma.

- L'ho vista a terra che si contorceva. Le usciva la bava dalla bocca e aveva gli occhi all'indietro. Che scrive dottore?

- E che scrivo, quello che mi dici scrivo. Sofia continua.

- Mi son presa paura, lì per lì non l'ho toccata. Dopo qualche secondo ha smesso da sola.

- Ha un ematoma sulla testa.

- Madonna mia! È grosso?

- Quattro dita di circonferenza. Se lo sarà fatto quando è caduta.

- E che possiamo fare dottore? Che ci metto? Che gli do?

- Lasciala dormire. Poi quando si sveglia le dai un bicchierone d'acqua, frutta fresca e stiamo a vedere.

 

Dormii per ventiquattrore filate. Così mi disse Giuseppina quando la svegliai nel cuore della notte. Quasi casca giù dal letto per lo spavento.

- Gggiuuusepppiiinaaa… sono il fantasma di tua sorella. Io ti perseguiterò per tutta la tua vitaaa… aaah…

- Madonna mia. Aiut…

Le tappai la bocca e strinsi forte. La porta si aprì all'improvviso, ed entrò mamma con la candela in mano.

- Giuseppina! Santina! Che fate?, disse mamma. Quando mi vide addosso a Giuseppina fece un passo indietro. - Pasqualina ti sei svegliata?

- Mammai!

Avrei voluto che mi abbracciasse, ma lei mi prese per un braccio e mi portò nella sua camera.

Nella sua stanza c'era un odore buono. Sofia appoggiò la candela vicino alla finestra e mi disse di aspettare.

La sentii parlare con Santina e Giuseppina: - Ajo’! C'è da fare l'impasto del pane e siamo già in ritardo.

Poi, i passi delle mie sorelle giù per le scale. Dopo un po' mamma tornò con l'acqua e una mela.

- Mangia tutto, disse perentoria.

- Non ho fame mammai. Dov'è babbai? Sta bene?, le chiesi.

- È al laboratorio. Tu riposati un po', hai una faccia!

Non me lo feci ripetere due volte, saltai sul suo lettone, mi girai e mi riaddormentai.

Potevano essere le undici quando mi svegliai nel grande letto di legno del piano di sopra, dove dormivo sempre con la mia mamma e Santina quando fuori era brutto tempo e il maestrale fischiava forte. La stanza era buia e stesi le mie mani da tutte le parti del gran letto per trovare la mamma, solo le lenzuola di percalle fredde come il vento, i guanciali: null'altro.

- Mammai… mammai…, chiamai con un fil di voce, ma nessuno mi rispose. – Mammai… mammai…, ripetei mettendomi a sedere sul letto.

Rimasi così quasi per un quarto d'ora, abituandomi al buio. Poi, d'improvviso sentii l'odore del pane e la voce di Santina.

Ecco perché non mi sentono. Quella cicala non sta mai zitta.

Santina era la preferita di mamma, piccola piccola stava sempre attaccata alla sua gonna: "pizzicaredda mia, pizzicaredda mia", la chiamava mamma.

Decisi di alzarmi, ma quando sfiorai il pavimento con i piedi, sentii delle scariche elettriche attraversarmi le gambe. Mi appoggiai al letto e mi schiaffeggiai le cosce e i polpacci per riattivare la circolazione. Ero in piedi.

Conoscevo bene la stanza di mamma e babbo, ma inciampai in una seggiola e stizzita cominciai a imprecare per il dolore; perché dovete sapere che non ero un modello di educazione, e nominavo con disinvoltura tutti i diavoli dell'inferno.

Zoppicai fino alla porta e la aprii. La luce del corridoio mi travolse e mi schermai gli occhi. Scesi le scale e mi fermai dietro la porta della cucina, spiai per alcuni minuti mia madre e le mie sorelle e c'era anche la nostra amica Bonacata.

Mia madre, in silenzio, stava impastando il pane e Santina la contemplava appoggiata con i gomiti sul tavolo. Giuseppina stava sfornando le prime pagnotte e Bonacata alimentava la fiamma con la cacca di bue.

Cosa andate a pensare?

Era paglia. La cacca di bue era paglia che mia sorella Santina andava a raccogliere con le sue amiche nei campi. Se era abbastanza secca la metteva nei sacchi e la portava a casa, quella ancora fresca la rigirava e la prendeva il giorno dopo.

- Buongiorno, dissi risoluta.

Si girarono tutte e quattro di scatto. Quel giorno non indossavo il costume tradizionale, avevo una semplice gonna e una camicia di lino. Avevo raccolto i miei lunghi capelli neri e con le forcine li tenevo su, avevo dimenticato di infilare i miei anellini e non avevo trovato del profumo in camera di mamma e babbo. Non mi ero guardata allo specchio, forse per questo mi fissavano tutte e quattro sbalordite.

- Dove stai andando?, disse mamma incredula.

- Esco!

- Vengo pure io, vengo pure io, disse Santina e quasi cadeva dalla sedia.

- No. Tu stai a casa, oppure vai a raccogliere le olive con le tue amiche, e guai a te se ti trovo tra i piedi.

- Mam-mmaaaiii le olive le ho già prese, piagnucolò Santina.

- Pasqualina prima mangia un po' di pane, e poi esci.

- Non ho fame.

Mi girai e uscii.

L'aria fuori era fresca. Il profumo del pane appena sfornato aveva invaso le strade parate a festa. Bandierine colorate e fiori di asfodelo ovunque, quello era un giorno speciale, qualcuno del paese si sposava. Accelerai il passo e di tanto in tanto mi rigiravo per controllare se quella cicala di mia sorella mi stesse alle calcagna.

Eccola lì, tenta di nascondersi ma l'ho vista.

- Torna a casa!, le urlai e presi due pietre da terra. - Guarda che tiro una sassata.

- Io vengo con te.

- Torna a casa ho detto.

- No!

Cercai di seminarla, ma era una missione persa in partenza perché il paese era piccolo e Santina era più furba di una volpe. Arrivai a casa di Maria Caria, la mia migliore amica (o così credevo) nonché figlia di uno degli uomini più ricchi del paese. Ero tutta impolverata e mi pulii le mani sulla gonna. Bussai alla porta e mi aprì sua madre.

Che Deaaa!

Sulla testa aveva appuntato il Mucadores dispratu che le cadeva morbido sulle spalle. Indossava una camisa di lino ampia e ornata con ricami, pizzi e coi bottoni d'oro. L'imbustu sopra la camisa aveva le spalline grosse e le strisce di stoffa.

I nastri che scendevano sul davanti le fasciavano il corpo sotto il seno. La gonna lunga in orbace, ornata da nastri colorati e dorati, era coperta dal grembiule di seta.

La mia mascella aveva perso la sua tonicità e sentii il desiderio di sprofondare nello stagno di Cabras. Volevo morire dissanguata sotto i morsi delle fameliche mignatte.

- C'è M-mm-mmmaria?

- Te la chiamo, rispose la mamma di Maria.

Trasalii quando vidi apparire la minuscola figura della mia amica vestita di tutto punto, anche lei con il mucadores, l'imbustu, la gonna e tutto il resto… e sul suo collo sottile e lungo una bellissima collana di corallessa.

- Ciao Maria, dove vai vestita così?, le dissi con una smorfia di invidia.

- Come? Vado al matrimonio di Camilla Seda, la sorella di Monda.

Il mio viso diventò rosso come la brace ardente. La sorella di una delle mie più care amiche si sposava, e io e la mia famiglia non eravamo stati invitati.

- Si spo…, lo dissi morsicandomi la lingua.

- Tu sei ancora vestita così?

- Io non vengo.

- Non ti ha invitata?

- Certo che sì. Come ti viene in mente.

- E allora? Che hai di meglio da fare?

- Vado al mare. In paese fa caldo, e poi io i matrimoni non li sopporto.

- Pasqualina stai scherzando, vero?

- Ciao Maria, ci vediamo.

Mi allontanai dall'uscio di Maria Caria, mia sorella era la mia ombra. Camminai per un po', non ricordo quanto. Le mie gambe venivano trascinate da fili invisibili e il mio sguardo era perso nella polvere della strada che mi faceva lacrimare.

- Pasqualina! Lina! Dove stai andando?

La voce di mia sorella giungeva alle mie orecchie ovattata. Ero immersa in un sogno in cui mi ritrovavo crocifissa. Mi sentivo respinta.

Il suono di un campanello mi fece trasalire, e riavutami bisbigliai:

- Matrimonio disgraziato. Tiè. Tiè e tiè.

Mi fermai all'angolo della strada di Maria e quella che porta alla chiesa di Santa Sofia. Mi affacciai per vedere se si vedeva gente e ascoltai il discorso di due uomini che non si erano accorti di me.

- E come barcollava. Aveva due occhi tondi, e quando gli hanno detto che se non ballava non poteva bere? Quell'Angelino Cossu lo prendono in giro perché è un forestiero e non regge il bere.

- Dammi, dammi il bicchiere, diceva Angelino. E quell’altro rispondeva: No, no. Se non balli, non bevi.

- Poveretto. E quello si mise a ballare, barcollante, cascante, tendendo le mani verso il bicchiere. E la gente rideva. E tu gli hai rubato la giacca.

- Io? No, no. Ti sbagli, me l'ha regalata.

- Chi è stato a portarlo a casa?

- Il compare della moglie. Lo ha preso per il braccio e lo ha accompagnato.

Le mani strette a pugno presero a sudarmi. Con uno scatto mi avventai sull'uomo più vicino, ma il colpo andò a vuoto perché mia sorella Santina mi tirò per la gonna, trattenendomi.

- Lasciami, lasciami, dissi digrignando i denti.

- Pasqualina, che fai? Non ti arrabbiare sennò ti viene di nuovo la crisi.

I due si girarono.

- Ei, voi due. Che fate? Stavate origliando i discorsi di due gentiluomini?

- Io non vedo né uomini né tantomeno gentiluomini davanti a me, dissi furiosa.

- Che temperamento la piccoletta. Di chi sei figlia?, disse uno dei due.

- Mi chiamo Pasqualina Cossu.

- Sei la…?

- Sono la figlia di Sofia e Angelo Cossu!

- Allora vai a casa, va' che il tuo babbai ha bisogno di te.

Santina aveva ragione, la testa prese a martellarmi. Le mie gambe erano pasta fresca appena impastata. Chiusi gli occhi per un momento. Cercai di calmare il respiro, non volevo che nessuno del paese sapesse delle mie condizioni.

Mi girai verso Santina: - Ascoltami bene, vai a casa e sali in soffitta. Sullo scaffale di legno, in alto, c'è una scatola di cartone. Dentro ci sono dei piattini di finta porcellana, prendine uno.

- Che te ne fai?

- Portamelo e basta!

- Vado. Dove ci vediamo?

- Ci vediamo tra mezz'ora all'ingresso della chiesa di Santa Sofia.

- Va bene.

- Mi raccomando, tieni la bocca chiusa. Capito?

- Sì.

Mi ricordai di quella volta che la nonna Rosa raccontò a mamma la storia di Rosangela Baldau.

I genitori di Rosangela l'avevano promessa in sposa ad un uomo del paese molto più anziano di lei. La poveretta che fin da bambina amava follemente il figlio di un pastore - che si diceva fosse un bandito - incontrava di nascosto il suo bel tenebroso fino a che non ne uscì disonorata. La famiglia scoperta la tresca fece di tutto per nascondere il misfatto al futuro sposo, uomo ricco ma d'aspetto ripugnante. La bella Rosa si sposò al settimo mese di gravidanza. Il suo vestito da sposa fu cucito perché contenesse il frutto del peccato. All'uscita della chiesa, dopo la cerimonia, uno dei parenti lanciò ai piedi degli sposi un piattino di ceramica bianco pieno di riso e petali di rose. Il piattino non si ruppe né al primo né al secondo colpo. Tragedia fu!

La sposa svenne tra le braccia del marito, e in quel momento il poveretto scoprì l'inganno. “Mai l'aveva toccata”, disse davanti a tutto il paese. “E di chi era quel bambino? Chi aveva osato disonorare la sua Rosangela?” Così davanti allo stupore generale, estrasse dal taschino una pistola e la puntò in faccia ai genitori di lei.

Non ricordai la fine della storia, ma una cosa era certa: in Sardegna la gente crede a queste fesserie, e io quella mattina avrei scatenato un finimondo.

Così imparano a offendere Pasqualina Cossu e la sua famiglia.

 

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