Nei sestieri di Venezia c’era un certo Lollo che cantava la stessa canzone…

 

[…] e una sera, con i vari sostenitori, abbiamo fatto una sfida. Eravamo su una barca sotto il ponte dei sospiri, io ero accompagnato dalla chitarra…

 

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Estratto dalla Biografia di Franco Agopyan.

 

 

 

Dopo qualche tempo, visto che Franco non ha voglia di continuare gli studi, i Torresini gli dicono che deve trovarsi un lavoro e lo aiutano. Non ha ancora quattordici anni. Comincia così a lavorare, come uomo si fa per dire di fatica, in un negozio di libri usati in Calle della Mandola. Il proprietario del negozio si chiama Rigattieri.

 

Me lo ricordo ancora adesso, un uomo brutto e orrendo con una giovane amante bionda di nome Fanny che mi turbava non poco. Rigattieri nativo di Reggio Emilia mi spediva ovunque, fino anche al Lido, per ritirare quantità di libri usati che poi lui avrebbe  venduto nel suo negozio. Il problema era che i libri contenuti nei sacchi di iuta pesavano non poco e martoriavano le mie ossute costole. Qualche volta, allo stremo della fatica fisica, mettevo il sacco per terra e lo trascinavo. Una cosa da piangere.

 

La vita in seno alla famiglia Torresini procede con qualche intoppo, Franco è sicuro che sia colpa sua. Ha tre fratelli: Giorgio, Paola e Gianfranco tutti più piccoli di lui con i quali ha un bel rapporto, ma i problemi nascono con Rina.

Come tutti i ragazzi della sua età, Franco è un po’ volubile e questo suo atteggiamento non piace alla donna.

 

Nelle giornate libere dal lavoro, quando faceva caldo mi mettevo un paio di slip ricavati dalla tela di una vecchia sdraio e nuotavo nei canali adiacenti la nostra casa, poi sempre in mutande mi aggiravo nella zona per cambiare canale probabilmente in compagnia di qualche altro scugnizzo, ma non me lo ricordo. Rincasavo tardi e qualche volta trovai la porta di casa chiusa. Non mi perdevo d’animo, mi accoccolavo sui gradini delle scale finché probabilmente Amedeo non mi apriva la porta. Credo di averne combinata una molto grossa quando… Una sera venne deciso che mi avrebbero rispedito a Milano con un fagotto in mano. Rina era fuori di sé.

Io e Amedeo prendemmo la strada della stazione e tra le lacrime presi posto sul treno. Mio padre adottivo era un uomo molto sensibile e, come ho detto tante volte, mi fece promettere che avrei fatto il bravo; così scesi dal treno e mi riportò a casa. Il destino mi voleva a Venezia.

 

Passa un altro lasso di tempo e finalmente arriva il colpo di fortuna. Otello, il fratello di Rina,  si vanta di conoscere il signor Vittadello che è un ricco commerciante proprietario di parecchi negozi di abbigliamento in tutta Italia; a Venezia ce ne sono addirittura cinque.  Otello riesce a impietosire l’uomo che convoca Franco a casa sua in Lista di Spagna, vicino Piazzale Roma. Franco deve giocarsi bene le sue carte, perché capisce che quella per lui è una grande occasione. Durante la cena, Vittadello gli dice che lunedì mattina deve presentarsi nel negozio in campo San Bartolomeo. È un bel colpo di fortuna.

Questa è una tappa importante della sua vita e piano piano scopre che quel lavoro gli piace.

 

Imparai a preparare le vetrine, i commessi più vecchi erano gelosi di me, lo facevo alla domenica perché il negozio era chiuso e io avevo le chiavi per entrare. Mettevo le tende anti-sole alla mattina e le toglievo nel tardo pomeriggio. Intanto gli anni passavano e io ero diventato un bel giovanotto. Mi interessavo alle ragazze e loro a me, diciamo che il tempo volava in loro compagnia e le tende che avrei dovuto rimuovere alle sette di sera rimanevano fino alle dieci.

 

 

Da Milano non arriva nessuna notizia, finché un venerdì sera Franco riceve una telefonata.  È suo padre che gli chiede se vuole emigrare con lui in Venezuela, incredulo gli risponde: ‘no’. Ormai è grande e le decisioni le prede da solo.

Passa ancora un po’ di tempo e Artin va a Venezia, lui e Franco si incontrano in segreto perché suo padre non vuole che lo sappiano i Torresini. Dice al figlio che ha ripreso a lavorare, che le cose vanno meglio e che è rientrato in famiglia dalla quale è rimasto staccato per un po' di tempo. Gli chiede se vuole tornare a Milano, ma Franco è risoluto nel rispondere di nuovo: ‘no’.

 

Non presi neanche minimamente in considerazione l’offerta, ma promisi che sarei andato a trovarli. E ciò avvenne, malgrado ci fossero tutti i presupposti per troncare qualsiasi rapporto con la famiglia di Milano. Io comunque riuscii a trovare una linea di equilibrio tra i miei affetti, che non potevano risiedere se non a Venezia, e quel qualcosa che mi era rimasto appiccicato nei miei anni milanesi. Milano mi è sempre piaciuta e non mi vergogno a dire che cominciava a intrigarmi quel piccolo benessere di casa Agopyan. Non era il lusso, mi intrigava quel diverso tenore di vita che non avevo a Venezia.

Dopo qualche anno ripresi ad andare a Milano. Devo dire che il mio vero padre era un figlio di ‘buona donna’, dal lato del business era un campione. Dopo anni disastrosi, nei quali aveva disfatto la famiglia, si era rimesso a lavorare rifondando la sua piccola azienda e a guadagnare bene. Mio fratello Vartan lavorava con lui e loro mi volevano in azienda.

Io non accettai mai questa offerta, perché la consideravo un tradimento verso i Torresini e poi perché intuivo che sarebbe stata una scelta sbagliata. Quando andavo a  trovarli a Milano, mia sorella Rita mi portava alle sue festine. Lei era orgogliosa di me, perché modestamente mi presentavo bene ed ero molto apprezzato dalle sue amiche tanto che una di loro, figlia di un ricco signore milanese, si era invaghita di me e mi regalò una collanina d’oro dove c’era scritto ‘più di ieri meno di domani’. La  cosa non ebbe seguito, perché non ero interessato più di tanto alla  vicenda.

 

La sua vita a Venezia procede senza ulteriori intoppi, a Franco piace il lavoro nel negozio. È bravo a organizzare le vetrine, ma si interessa anche alla parte commerciale e sente di esserci tagliato. Gli anni volano, Venezia è ben diversa da quella di oggi dove si sente la pressione turistica. Gli incontri mattutini e quelli serali con gli amici della compagnia avvengono in una Piazza San Marco completamente vuota di estranei, la Piazza appartiene ai ragazzi di Venezia, a Franco e ai suoi amici, che alla domenica mattina si danno appuntamento per la ‘contrattazione delle fanciulle’ che invitano alle festine danzanti.

 

Io e il mio amico Bughi, dall'enorme ciuffo imbrillantinato, eravamo incaricati all'acquisto delle pastine e del Vermut rosso. Il Bughi, che era un birichino, faceva un piccolo imbroglio dichiarando che il Vermut era Martini quando invece era un volgare sottoprodotto; la differenza di pochi spiccioli la intascavano noi e l’importo totale andava diviso tra i maschi intervenuti alla cosiddetta ‘festa’… che veniva organizzata in qualche abitazione messa a disposizione da alcune madri misericordiose.

Nel novembre 1951, mese di grandi alluvioni in tutta l’Italia figuriamoci a Venezia, io giocavo al calcio in una squadra che partecipava al campionato giovanile. Il sabato sera tutti i giocatori dovevano riunirsi nell’oratorio, da noi chiamato patronato, per programmare la partita del giorno dopo. Quella sera uno dei miei compagni di squadra mi dice: ‘vieni con me, c'è un posto da dove si può vedere il film senza pagare’.

Nel patronato c’era un piccolo cinema dove proiettavano film western. Seguo il mio amico e mi inerpico su una sedia appoggiata a un altro mobile, al buio a un certo  momento la sedia crolla e io mi trovo ad atterrare sui gomiti. Un male boia. Andai a casa pieno di dolori, il braccio si era notevolmente gonfiato e papà Amedeo mi portò di notte al pronto soccorso. Si trattò di una brutta frattura, fui operato due volte al gomito e in un'altra occasione mi fu addirittura trapanato senza nessuna anestesia. Quel medico insensibile usò un trapano manuale, come quello dei falegnami, perché quello elettrico si era rotto. Fu una cosa da macellai. Non mi difesi perché avevo solo 17 anni, ma ne ebbi un danno permanente.

Il gomito restò bloccato e ancora oggi non posso stenderlo. Allora mi parve una grave menomazione, ma in realtà la mia vita si è svolta sempre normalmente. Mio padre Artin venne informato, ma non venne mai a trovarmi.

 

Verso i 18 anni Franco si iscrive all’Istituto serale ‘Paolo Sarpi’ per finire le medie, ma i risultati sono modesti. Non finisce la seconda, ma gli piace la scuola soprattutto perché là conosce Umberto Da Preda figura importante nella storia della canzone di Venezia. Con lui passa pomeriggi spensierati  in giro per le Calle a cantare ‘El gondolier, La biondina in gondoleta, Voga e va, Che belina’.

 

Quando uscivamo di notte, io e Umberto andavamo in un bar vicino alla scuola a cantare e con noi c’era un amico che ci accompagnava con la sua chitarra. Ci siamo divertiti un mondo. Io amavo un cantante americano, Frankie Laine si chiamava, e avevo imparato a memoria una sua canzone: Jezebel.  Il testo parlava di una ragazza che lo faceva diventare matto, diceva più o meno così: se un angelo cade dal cielo, quell’angelo sei tu Jezebel… se un paio d’occhi ti promettono il paradiso, quegli occhi sono i tuoi Jezebel… meglio non conoscere mai un amante come te… Jezebel.

Nei sestieri di Venezia c’era un certo Lollo che cantava la stessa canzone e una sera, con i vari sostenitori, abbiamo fatto una sfida. Eravamo su una barca sotto il ponte dei sospiri, io ero accompagnato dalla chitarra di Umberto Da Preda e Lollo ne aveva un altro di chitarrista.  Lollo aveva un inglese improbabile, mentre io avevo imparato tutti i sospiri delle canzoni di Frankie Laine. Naturalmente ebbi la meglio.

Quella notte tornai a casa tardissimo con lo stomaco che borbottava… Lavoravo tutto il giorno, la sera andavo in giro a cantare e quando tornavo mi toccava mangiare i ‘spezzati’ che erano dei piselli con la pasta… erano talmente duri che non riuscivo neanche a masticarli… li mangiavo comunque tanta era la fame.

 

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